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Soundtrack:Mad world/REM 

Ho la luna nello scorpione.

L’ho scoperto la settimana scorsa, me lo ha detto allarmato uno dei miei amanti.

Nervosismo, umore irascibile, antipatia diffusa che investe tutti indiscriminatamente.

È finita l’estate.

Dismesse le magliettine froufrou. I parei indiani, i pantaloni thai, le camice chiccose, le collane degli anni 70 trafugate nel cassetto di mammà, i birkenstock di vernice nera, gli infradito di gomma, e l’arietta scanzonata da ventenne recuperata chissadove e che mi sono spalmato sulla pelle tutti i giorni come crema antirughe.

Ho preso la + lunga vacanza da me stesso che mi sia mai concesso. Mi sono fatto leggero leggero e ho cominciato a ciancicare chiacchiere colorate e sorrisi ampi che manco lavandomi i denti col dentifricio durbans sarebbe venuto meglio.

Nel momento in cui ho consegnato l’albergo ho staccato la spina e sono partito, ancor prima di raggiungere Stromboli.

Ho messo a massa quel “me stesso” che mi precedeva sempre d’un corpo, che mi stava avanti indicandomi, a prescindere dai desideri, la direzione. E sono partito per un avventura che ancora non finisce. Il mio strizzacervelli mi ha detto che è segno di salute andare “a braccio” senza copione in questa sorprendente, a tratti, commedia dell’arte.

 

– …A Stromboli si fanno sogni rivelatori.

– …L’energia del vulcano ti rende dapprincipio astenico ma poi ti carica manco fossi una duracell.

– …La presenza del vulcano ti riappacifica.

…A Stromboli si va a piedi scalzi vestiti solo da un pareo. Per tutto il giorno.

– …A Stromboli non c’è luce.

…Stromboli è un isola magica.

 

Queste le prescrizioni della vigilia, necessarie a farmi partire senza pensarci troppo, in un caldo insopportabile col mio zaino Ferrino stracolmo di cianfrusaglie, e bottiglie di vodka e di rum che ho trangugiato di gusto.

“Questo è il tuo regno” , mi scriveva Lucia, facendomi pregustare notti selvagge, raddoppiando per questo la scorta di preservativi. E invece sono rimasto avviluppato nella rete di una tanghera, e dei nostri balli sensuali a ritmo di una musica scadente che non abbiamo mai sentito. I nostri corpi erano però cavi per accogliere l’altro e concavi per respingerlo, e coi piedi resistenti per raggiungersi e allontanarci da una sensualità che non ricordavo +, e che lei giocava con sapienza da maestra. Era sotto la mia pelle e dentro la mia testa. Ma la passione va consumata e la sua rete era troppo affollata perché ci fossi pure io, perché potesse abbandonarsi veramente a quell’unico agguato selvaggio che le ho teso. Troppa folla. Troppi amanti. Troppo animale. Forse.

Me ne sono andato con un ventiduenne qualsiasi a rotolarmi nella sabbia nera e ad annoiarmi coi suoi baci acerbi. L’ho salutato sul vialetto di casa, senza voler entrare, scrollandomi di dosso la sabbia dalla mia camicia color malva (o forse pervinca) e mostrando ai passanti apprezzanti il mio torace abbronzato.

Le isole come le barche mi mettono uno strano senso di inquietudine, dopo che ne ho conquistato il limite mi sento in gabbia.

Sono ripartito il 19 agosto attraccando in una desolatissima Napoli, ma certo che mi avrebbe aspettato quello che è diventato il mio astrologo di fiducia. Un amante.

Cè da dire parecchio sulla  ritrovata capacità di conquista, sulle mie doti da cacciatore, su quanti in questo periodo sono rimasti imbrigliati prima nel mio sguardo e poi nelle mie chiacchiere da timido pentito. E forse ne parlerò poi, pavoneggiandomi nella scrittura in qualche notte fredda, ma poco c’è da dire sulla qualità dei miei amanti. Poco sulla qualità della relazione.

Certo è, che guardare uno e spingere la seduzione fino a violenti colpi di reni non ha nulla a che fare col sentire un corpo e suoi palpiti. Avere tra le dita una sottilissima carta di riso e sapere che è resistente a trazione ma non a taglio. Che ha un carico a rottura. Arrivare fin dove ci può essere lo strappo e rallentare e ammirarne la trama, vedere in trasparenza le proprie dita, incartare e incartarsi fino a perdersi senza ricordare + qual è il confine del proprio corpo. Dove cominci tu e dove finisce l’altro. Mischiarsi e abbandonarsi. Piovere di sudore, stanchi e ancora desiderosi. E puzzare di sesso per tutto il giorno. E sentirsi in mezzo agli altri nudi e licenziosi.

Nulla a che vedere con tutto questo.

Ma ho dovuto riprendere i confini del mio corpo. Ho dovuto capire dove stavo dopo 4 anni di vita matrimoniale. E dove stavano gli altri rispetto a me.

È un gran divertimento ritualizzare l’uscita serale, e farne “evento” rispetto alla camicia che indossi, inamidarla con cura, e ritornare stropicciati per aggiungere solo un’altra tacca, una spilletta sulla giacca da conquistador! È un grande divertimento e nulla più di questo.

Ma giocarsi a trentasette anni (suonati da poco) è una conquista, sfacciata, e necessaria. È ritrovare il bambinello curioso e dargli vita con una consapevolezza che nella ferocia dei vent’anni non c’era. È sapere ora che ci sono vasi comunicanti e far scorrere tutta la vitalità che c’è. Rimettere in circolo tutto il sangue necessario per quanta carne rimane. Carne e sangue, da adulto e da bambino. È segno di salute, pare. Lui, il mio analista, me lo ha detto prima di dirmi che sono pronto. Che il nostro rapporto è finito, che posso scorazzare nel mondo senza il suo patrocinio. Che ci rivedremo, se voglio, e quando voglio.

Il tempo ora è malinconico, arriva l’autunno, le stringhe alle scarpe sono strette, e il giacchino per la sera è noioso.

Io sono ancora in estate: ho preso un volo per Barcellona e parto a breve … mi piacerebbe andarmene da questa bafogna napoletana. Mi piacerebbe Barcellona, forse. Ma pure Madrid, Londra, Berlino, Milano. Intanto spedisco curricula e vado a braccio. Serve architetto?